Ormai sembra solo un lontano ricordo la condivisione, spesso a pranzi e cene di réunion, con famiglia ed amici, delle riprese dei nostri momenti felici o divertenti attraverso l’utilizzo dei vecchi album fotografici impolverati o dei VHS, anzi dei, più recenti, DVD.
I nostri momenti affettivi vengono ormai condivisi anche a gente che non conosciamo, ma il problema non si pone tanto per la condivisione in sé ma cosa condividiamo, in particolare i soggetti delle nostre foto e video. Molto spesso circolano le immagini dei nostri figli, e più in generale dei minori.
I più noti influencer, dai Ferragnez ai coniugi Di Vaio, solo per citarne alcuni che in Italia hanno da sempre sfruttato l’immagine di propri figli sin dalla nascita, non tanto per condividere la loro quotidianità, ma per implementare le loro attività di marketing, hanno aperto le porte nell’immaginario collettivo che nessun danno avrebbe comportato se avessimo condiviso anche noi le foto dei nostri figli.
Ma quando pubblichiamo TikTok, reel, meme che hanno come soggetti principali i nostri figli, crediamo che quei video o quelle immagini vengano utilizzati solo su quei social dove li abbiamo pubblicati, ma la verità non è così.
Il fenomeno attuale viene definito come “sharenting”, neologismo coniato negli Stati Uniti che deriva dalle parole inglesi “share” (condividere) e “parenting” (genitorialità), ovvero la condivisione online costante da parte dei genitori di contenuti come foto, video o storie che riguardano i propri figli. Questo uso smodato della condivisione può comportare rischi non solo nell’immediato, ma anche in futuro: dal furto di dati personali e dell’identità del minore fino all’utilizzo di immagini in siti pedopornografici e, nel futuro, offrire materiale online che potrebbe alimentare episodi di bullismo e cyberbullismo.
Tra i rischi della condivisione social di contenuti privati non solo c’è quello che attraverso quelle foto/video vengano realizzati meme a sfondo sessuale, ma c’è anche quello più grave che questi finiscano su siti pedopornografici. Inoltre, non di meno poco conto, è capire che effetti futuri potrebbero ricadere sui nostri figli che potrebbero iniziare a manifestarsi nel momento in cui i bambini, crescendo, cominceranno a navigare autonomamente. In quel momento, se i genitori non hanno provveduto a tutelare la loro immagine e la privacy, i bambini dovranno fare i conti con quanto è stato pubblicato senza il loro consenso e, dunque, senza che loro stessi abbiano approvato. Pensiamo, ad esempio, ad immagini molto intime come quella del bagnetto di un bambino o ad altre foto che ritraggono il bambino intento a compiere mansioni ironiche o buffe.
C’è un serio problema di violazione della privacy e della riservatezza dei dati personali e sensibili del minore ogni volta che si pubblica, senza il suo consenso, un’immagine sui social network. Così come stabilito dalla Convenzione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, e ribadito più di recente dal Regolamento generale sulla protezione dei dati, Gdpr, la privacy è un diritto non solo degli adulti, ma anche dei minori.
Pensiamoci: e se qualcuno pubblicasse delle immagini o video che ci riprende in posizioni o atteggiamenti imbarazzanti e diventassero virali, non ci sentiremmo violati anche noi della nostra privacy?
Dott.ssa Luciana Conese
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